
Un'antica
leggenda narra che San Mauro nel 284 subì un martirio, appena giunto a Roma con alcuni compagni proveniente dall'Africa. I compagni dopo aver trafugato il corpo, si imbarcarono per la loro terra d'origine, inseguiti, però, da una nave romana e nei pressi di Gallipoli, a causa della violenza del mare, furono spinti a riva, costretti ad abbandonare la nave. Non molto distante dalla costa, in un luogo elevato, trovarono una grotta ove si rifugiarono, depositandovi anche il corpo del Santo. Nel frattempo sopraggiunsero i soldati romani che scoprendoli li uccisero senza pietà. I pagani provarono a bruciare il corpo del martire Mauro, ma invano, e quindi decisero di imbarcarsi nuovamente per fare ritorno a Roma. Gli abitanti dei dintorni, rinvenute le spoglie del Santo, decisero di costruirvi accanto alla grotta una chiesetta dedicata a lui e a due suoi compagni e, da allora, ne celebrarono la ricorrenza il primo maggio di ogni anno. Più probabilmente, l'origine della chiesa e del monastero di S.Mauro sono da inquadrare nell'imponente grecizzazione di Terra d'Otranto ad opera dei monaci basiliani a partire dai sec. VIII-IX. La scelta del luogo dell'insediamento è certamente connessa con la presenza delle vicine grotte, che, come è noto, erano predilette dai monaci. Quel posto era chiamato anticamente Orthólithon, cioè "rupe dritta", nome che derivava con ogni probabilità dalla rupe a strapiombo sul mare, ora nota come la "Montagna spaccata". In un altro documento basiliano il luogo ove sorgeva il monastero è indicato col termine Anaforários, cioè "luogo in elevato". E' possibile solo adombrare la ricchezza e l'autorità di cui godette San Mauro, attraverso le pochissime testimonianze sopravvissute all'ingiuria del tempo. Fra queste, le 9 pergamene dapprima rinvenute e poi perdute, le quali, in un arco temporale dal 1149 al 1331, attestavano donazioni di terreni, case e persone al rispettivo preposto del monastero. Da quest'ultimo, poi, dipendevano diverse piccole comunità basiliane come quelle di S.Maria de Civo (Melissano), S.Maria della Lizza (Alezio), S.Mauro (Galatina), S.Anastasia (Matino), S.Maria del Casale (Ugento) e diverse altre.
Il monastero vantava, poi, un'estesissima proprietà fondiaria che comprendeva anche la Foresta di S.Agata, presso S.Simone, il Feudo di Coppe e Curlo, tra Sannicola e Galatone, e quello di S.Mauro. A questo proposito va detto che, solo presso l'abbazia, la proprietà dei monaci si estendeva per circa due miglia. Altre proprietà del monastero erano in Casarano ed Ugento, e chissà di quante si è persa la memoria. Da questi elementi, si può senz'altro affermare che il monastero di S.Mauro svolse ad ovest quella funzione di "capofila" degli insediamenti basiliani che ebbe ad est il monastero di S.Nicola di Casole; per un tempo imprecisato fu il fulcro della vita e dell'organizzazione religiosa allorquando Gallipoli venne abbandonata dopo le devastazioni degli Angioini. Quando, poi, iniziò la rapidissima decadenza dei monaci, fu l'ultima roccaforte basiliana a cedere, insieme a S.Salvatore. In origine, l'insediamento era costituito dal monastero, di ignota grandezza, da altri edifici, dalla chiesetta, sopravvissuta, e da una o più grotte adibite a scopo di culto. Proprio il monastero, che sorgeva sulla sommità della serra, alle spalle della chiesa, dovette essere il primo a subire l'offesa del tempo e degli uomini. Infatti già nel 1567 il Vescovo di Gallipoli, recatosi in visita sul posto, registrò la presenza solo delle macerie del monastero e di altri edifici non identificabili, dei quali rimanevano in piedi solo un paio di stanze. Rilevò anche la presenza della grotta, con due altari, nella quale si diceva che fosse stato trovato il corpo di S.Mauro. Già da allora si celebrava messa solo il primo maggio, "nel quale giorno accorre una grandissima quantità di gente sia dalla città di Gallipoli che dalle altre terre e luoghi vicini e si celebra [messa] e si tiene colà una grande festa", ricordo dello splendore passato dell'insediamento. La chiesa, in origine, aveva tre altari, rivolti ad oriente, come in tutte le chiese di rito greco, e presentava la distinzione tra bema e naos, evidenziata da un gradino oggi distrutto. Un tempo era interamente affrescata e alle volte erano appese le lampade ad olio tipiche della tradizione orientale.

Nel corso del 2003 il Comune di Sannicola, coronando gli sforzi di vari decenni resi per lungo tempo vani dall'opposizione dei proprietari, ha provveduto al restauro delle pareti esterne della chiesetta, mentre è stato appena finanziato un piano di recupero dell'area circostante anche perché potrebbe esserci sotto l’erbaccia e nascosta da rovine una vecchia pietra tombale.
Anche all’interno della chiesa, si stanno effettuando interventi di recupero e restauro sui numerosi affreschi che, l’incuria dell’uomo ha purtroppo portato quasi al completo degrado.L’ingegnere Costantini si sta occupando del lavoro di restauro durante il quale si sono fatte diverse scoperte.